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Il tema della sicurezza torna alla ribalta al verificarsi di un evento che coinvolge emotivamente (il cantiere di Firenze e la centrale idroelettrica di Suviana, per fermarci solo ai più recenti.

Per qualche giorno la stampa da grande risalto all’evento, i sindacati scendono in piazza per manifestare indignazione e solidarietà alle famiglie delle vittime chiedendo “più ispettori, più sanzioni e, l’immancabile formazione perché, se succede un infortunio è certamente colpa del “datore di lavoro” e del governo che consente i sub appalti in cascata, non aumenta le sanzioni e il numero di ispettori; di conseguenza la politica, sull’onda emotiva dell’evento, si inventa la patente a punti sulla cui efficacia applicativa sorgono seri dubbi specie in relazione alle conseguenze previste quali la sospensione dell’attività (e i lavoratori che fanno? Vanno a casa? Chi li paga? E i lavori?).

Discorso a parte merita la considerazione taumaturgica della formazione, formiamo tutti aumentiamo il numero di ore e, soprattutto, burocratizziamo sempre più la formazione con le varie regioni che, si inventano sempre nuovi adempimenti a carico del datore di lavoro come l’obbligo di comunicazione almeno venti giorni prima dell’inizio dell’attività formativa, completa di nominativi dei discenti, docenti, luogo e programmi (ma non dovrebbero essere quelli prescritti dall’art. 37 e dettagliati negli accordi Stato regione?), i requisiti dei formatori (per addestrare un lavoratore al corretto utilizzo dell’estintore o a srotolare una manichetta, il formatore deve avere effettuato almeno 400 o 900 ore di formazione oppure seguito il corso obbligatorio con i Vigili del Fuoco che, certamente hanno grande esperienza nel settore ma non necessariamente capacità e competenze nell’andragogia).

Alla fine basta avere armadi pieni di “attestati” e tutti sono soddisfatti ma, mi chiedo, i lavoratori che operavano tre piani al di sotto di quello dove si movimentava la trave poi crollata comportando la loro morte, se avessero avuto una laurea in sicurezza si sarebbero salvati? E quanti operavano all’interno della centrale idroelettrica non erano super esperti nel settore e certamente consapevoli dei rischi dell’attività? Non fosse altro per la lunga esperienza maturata, invece sono morti tutti compresi i super esperti.

In pratica si pretende danno zero a fronte di un rischio che, per definizione non può essere zero.

In Italia muoiono più di mille persone all’anno per lavoro, certamente non è bello nemmeno se fosse un numero esiguo, la vita di ogni persona è sacra e va tutelata.

Analizzando i primi dati forniti dall’INAIL si ricava che, nel 2023, vi sono state 585.356 denunce di infortuni con un calo del 16,1% rispetto al 2022 (influenzati dal COVID) e al netto dei contagi di poco superiore all’1%.

I decessi denunciati nel 2023 sono stati 1041 di cui 242 in itinere e 799 avvenuti in occasione del lavoro, con una riduzione di poco oltre il 4% rispetto all’anno precedente.

È fin troppo chiaro che il danno conseguente un infortunio non coinvolge solo chi lo subisce ma anche la sua famiglia, l’azienda per cui lavora che viene privata di una risorsa certamente utile e, da non trascurare, l’intera comunità per i costi sociali che comporta in termini di costi diretti, indiretti e immateriali.

Riprendo a tal proposito un interessante documento di INAIL in collaborazione con Accredia “l’efficacia delle certificazioni accreditate per i sistemi di gestione per la salute e la sicurezza sul lavoro” dal quale emerge che nelle aziende certificate ISO 45001:2018, l’indice di frequenza degli infortuni si riduce, per le aziende certificate da un minimo del 14% a un massimo del 41% e l’indice di gravità si riduce da un minimo del 13% a un massimo del 39%.

Questo significa una riduzione delle spese sociali da sostenere sia per la riduzione della probabilità di accadimento sia anche, nel caso accada un infortunio, questo sarà meno grave, quindi con spese collegate più basse.

Il documento INAIL-Accredia quantifica in circa due miliardi di euro la riduzione di costi per i lavoratori che operano nelle aziende certificate (circa 7 milioni), costo che le famiglie, le imprese e la collettività hanno evitato senza calcolare le sofferenze legate all’evento infortunio.

Da questo si ricava che l’auspicabile aumento delle imprese certificate porterebbe a riduzione di costi significativi per la collettività.

La certificazione ISO 4500:2018 infatti, “costringe” il datore di lavoro che volontariamente si sottopone a GESTIRE la sicurezza, quindi al di là di tante scartoffie, attestati e quanto altro, il problema è come l’azienda si organizza e, soprattutto, la serie di audit interni la sollecitano a organizzarsi e a un continuo miglioramento.

Come lo Stato potrebbe incentivare questa spirale virtuosa? Mutuando il sistema del Piano nazionale “INDUSTRIA 4.0” che ha consentito lo svecchiamento delle macchine con un significativo risultato anche in termini di sicurezza, nella considerazione dei costi sociali degli infortuni (senza con ciò trascurare i costi della sofferenza personale e familiare legati al verificarsi di un infortunio) ammontano a decine di miliardi, introdurre quella che potremmo definire “SICUREZZA 4.0” incentivando fiscalmente la riduzione degli infortuni.

L’INAIL da parte sua ha da anni promosso incentivi alla sicurezza ma, purtroppo, il sistema del “click-day” non ha dato i risultati sperati, in meno di tre secondi vengono esauriti tutti i fondi e molte imprese, dopo vari tentativi hanno rinunciato a partecipare.

L’incentivo fiscale invece potrebbe dare risultati migliori come accaduto con Industria 4.0 in quanto l’imprenditore vedrebbe direttamente il risultato del proprio impegno, scoprirebbe finalmente che la sicurezza non è un costo ma una risorsa e per lo Stato il minor gettito fiscale sarebbe equilibrato dalla riduzione dei costi che deve sostenere a fronte di un infortunio.

SCARICA IL DOCUMENTO INAIL-ACCREDIA

 

ing. Benito Macchiarola

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