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Nei recenti confronti avuti con altri operatori della sicurezza sul lavoro, tecnici e giuristi, mi è sembrato di percepire lo sconforto di chi presta la propria consulenza ad un soggetto, datore di lavoro, il quale, in caso di infortunio, sembra inevitabilmente destinato alla condanna penale, talvolta anche avendo rispettato le specifiche norme contenute nel D.Lgs. n. 81/08.

Ed in effetti, la presenza di una norma di chiusura dell’ordinamento come l’art. 2087 c.c. o la tendenza del legislatore ad utilizzare locuzioni talvolta prive di specifico contenuto, come per esempio l’obbligo del datore di lavoro di adottare “le altre misure” ritenute opportune, sembrano estendere la possibile responsabilità penale del datore di lavoro sino al limite della responsabilità oggettiva (che come sappiamo non è prevista nel nostro ordinamento).

Tuttavia, è evidente che il datore di lavoro non è sempre penalmente responsabile degli eventi infortunistici, poiché non è possibile un automatico addebito di responsabilità colposa al titolare di una posizione di garanzia.

In proposito, vorrei evidenziare alcuni fondamentali principi sanciti dalla giurisprudenza di legittimità che ha correttamente avvertito la necessità di delimitare la responsabilità penale datoriale all’interno di un perimetro compatibile con i principi generali dell’ordinamento.

Con la sentenza n. 8883 del 3 marzo 2016, già ampiamente commentata a suo tempo, ma i cui principi non devono essere sottovalutati[1] perché permangono come parametri di riferimento anche nel sistema attuale, la Suprema Corte ha stabilito che il discrimine della responsabilità datoriale, in caso di infortunio dovuto a negligenza del lavoratore, risiede nel rispetto delle specifiche cautele antinfortunistiche previste dalla normativa e nella prevedibilità del comportamento del lavoratore.

Nella citata sentenza, i Giudici hanno analizzato il caso di un lavoratore (elettricista manutentore) caduto rovinosamente dall’altezza di 6 mt per il cedimento del piano di copertura di un tetto su cui dovevano realizzarsi linee elettriche di alimentazione per l’installazione di fari.

Ribaltando la sentenza di condanna della Corte di Appello, la Corte ha statuito che non dovevano considerarsi responsabili i due imputati (Datore di lavoro ed RSPP)[2], perché il lavoratore era un elettricista esperto, era stato munito dei dispositivi di protezione individuale necessari e gli era stato affidato un lavoro da svolgersi tramite un elevatore.

La Cassazione si è posta fondamentalmente due domande che di seguito riporto testualmente: “se il lavoratore decide, forse per fare più in fretta, o comunque incautamente, di salire sul tetto per meglio posizionare i fili e percorre il tratto ricoperto da sottile lastre di eternit […] che tipo di rimprovero può rivolgersi ad un datore di lavoro che ha dotato il dipendente, esperto e formato in materia di sicurezza sul lavoro, di tutti i presidi antinfortunistici e della strumentazione necessaria per effettuare il lavoro in sicurezza, analogo a quello che egli era chiamato a compiere da cinque anni, rispetto a siffatto comportamento? Hanno potuto incolpevolmente il datore di lavoro ed il RSPP fare affidamento sul fatto che un soggetto così esperto non ponesse in essere il comportamento che ha cagionato l’incidente?”

La risposta a tali interrogativi ha portato la Corte ad assolvere gli imputati “perché nessun rimprovero può muoversi in caso siffatto, in quanto gli imputati si sono legittimamente fidati della professionalità del soggetto cui era stato affidato il lavoro da compiersi”.

Il ragionamento proposto dalla Corte per rispondere a tali interrogativi è meritevole di essere evidenziato e condiviso anche oggi perché, partendo dall’assunto che al datore di lavoro può essere rimproverato un comportamento omissivo solo se l’evento era in qualche modo prevedibile, chiarisce che per PREVEDIBILE, non deve intendersi qualsiasi possibile articolazione del fatto, ma solo quella formulata facendo riferimento in concreto alla capacità dell’agente di uniformarsi alla regola, anche tenendo conto delle sue qualità personali.

In altri termini il parametro della prevedibilità deve essere inteso come dominabilità umana del fattore causale.

Inoltre, nel ribadire l’importanza del “principio di autoresponsabilità del lavoratore”, i Giudici, all’interno del perimetro del rischio elettivo, distinguono la fattispecie del comportamento “esorbitante” da quella del comportamento “abnorme”, chiarendo che se il comportamento abnorme si riferisce a quelle condotte poste in essere al di fuori del contesto lavorativo (che nulla hanno a che vedere con l’attività svolta), quello “esorbitante” riguarda invece (come nella fattispecie analizzata) quelle condotte che fuoriescono dall’ambito delle mansioni, degli ordini e dalle disposizioni impartite dal datore di lavoro o da chi ne fa le veci, all’interno del contesto lavorativo.

La Corte conclude dunque affermando che “il datore di lavoro non ha un obbligo di vigilanza assoluta rispetto al lavoratore e, una volta forniti tutti i mezzi idonei alla prevenzione ed una volta adempiuto alle obbligazioni della propria posizione di garanzia, egli non risponderà dell’evento derivante dalla condotta imprevedibilmente colposa del lavoratore”.

*****

 Per poter pervenire ad una sentenza di condanna del datore di lavoro, si dovrà dunque:

1) accertare la violazione di una specifica norma cautelare;

2) accertare la correlazione eziologica tra la norma cautelare violata e l’evento infortunistico;

3) verificare la prevedibilità in concreto dell’evento, secondo il parametro della dominabilità umana del fattore causale al momento dell’accadimento;

4) considerare rimproverabile la mancata previsione dell’evento da parte del datore di lavoro;

5) individuare il c.d. comportamento alternativo lecito, ovverosia il Giudice, ponendosi temporalmente al momento del fatto e senza valutazioni ex post, dovrà essere nelle condizioni di indicare quale comportamento alternativo il datore di lavoro avrebbe dovuto tenere, in modo da poter evitare quel tipo di infortunio.

Ove tali verifiche e accertamenti processuali, applicati alla singola fattispecie di reato contestata, non diano esito positivo, il Datore di lavoro dovrebbe sempre essere assolto.

 

 

AREA LEGALE: avv. Federico Lentini

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[1] Nelle motivazioni di questa sentenza del 2016 sono citate numerose altre sentenze della Suprema Corte, anche a Sezioni Unite, utilizzate quale fondamento argomentativo della decisione (per. es. tra le altre: Cass. S.U. n. 38343/2014 sul caso Thyssen Group – Cass. N. 49707/2014Cass. 41486/2015).

[2] Amministratore della società ed RSPP erano stati chiamati a rispondere in concorso tra loro del reato di cui all’art. 590 commi 1 e 3 “per colpa consistita in imprudenza e violazione della normativa sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro per avere omesso di predisporre i necessari apprestamenti di sicurezza prima di procedere all’utilizzo del piano di copertura come piano di lavoro per l’esecuzione dei lavori di realizzazione di linee elettriche di alimentazione per la successiva posa in opera di fari interni ai locali e per aver dunque cagionato lesioni personali a S.P., elettricista manutentore, il quale nell’effettuare i lavori procedeva al pedinamento dell’estradosso di lastre di fibrocemento, poste a copertura dell’edificio industriale, a causa del cedimento di un elemento precipitava al suolo da un’altezza di circa 6 mt”