INFORMAZIONE, FORMAZIONE E ADDESTRAMENTO
Nelle precedenti “Pillole” è stato più volte evidenziato l’indissolubile legame esistente tra la prevenzione e la conoscenza, perché non si può prevenire ciò che non si conosce.
Il rischio presente sul luogo di lavoro deve dunque essere riconosciuto e valutato, per poter essere gestito e comunicato a tutti coloro che operano all’interno del sistema aziendale.
In termini generali, si può affermare che le attività attraverso le quali avviene tale comunicazione sono l’INFORMAZIONE, la FORMAZIONE e l’ADDESTRAMENTO.
Queste tre diverse attività sono espressamente definite all’art. 2 del D.Lgs. n.81/08 [1], differiscono per finalità e rappresentano tre livelli di conoscenza dei rischi.
Innanzitutto, seppur possa apparire scontata, è obbligatoria una premessa: un lavoratore può essere informato, formato e addestrato dal proprio datore di lavoro su come svolgere al meglio ed in modo più produttivo le proprie mansioni, senza che ciò abbia necessariamente attinenza con la comunicazione dei rischi correlati a quella attività.
Un impiegato amministrativo, addetto all’utilizzo di uno specifico software gestionale, potrebbe, per esempio, ricevere ore di formazione su come utilizzare quel programma, senza mai essere messo a conoscenza dei rischi correlati all’utilizzo di un pc.
Un cosa è sapere come produrre ed essere funzionali al ruolo affidatoci dall’azienda che ci ha assunti, altra cosa è sapere come produrre in sicurezza, ovverosia con la consapevolezza dei rischi che si corrono mentre si esegue la prestazione lavorativa.
Fatta questa precisazione, durante i miei corsi, sono solito chiedere ai partecipanti se siano nelle condizioni di fornirmi una definizione delle tre attività citate e, sebbene a livello embrionale ciascuno di noi possa pervenire ad una definizione di massima, mi trovo sempre a dover rappresentare alcuni esempi concreti per rendere più comprensibile la differenza.
Così, l’interlocuzione con l’aula, si incanala, più o meno, verso la seguente discussione, domanda e risposta:
- “Se vi trovate in aeroporto e sono stati appena lavati i pavimenti quale rischio correte camminando? – Scivolamento!
- E come posso avvertirvi di questo rischio, considerato che siete appena arrivati e magari siete in ritardo per prendere il volo? – Con il cartello giallo! –
- E perché il cartello è di colore giallo? – Perché il giallo indica un avvertimento (il rosso un divieto ed il blu un obbligo)!
- Ma quale immagine è rappresentata nel cartello giallo? – L’omino che scivola e finisce gambe all’aria.
- Bene! Allora avete compreso che cos’è l’informazione! L’INFORMAZIONE è la trasmissione di una notizia utile ai fini della identificazione di un rischio ed è stato sufficiente mostrarvi un immagine per trasmettervela”.
In effetti, basta una foto, un’immagine, una circolare, una mail, un avviso in bacheca, un cartellone accanto ad un macchinario, per poter informare dell’esistenza di un rischio o di quale comportamento tenere per ridurlo.
La FORMAZIONE, invece, è un processo educativo continuo che ha un suo momento iniziale (in genere temporalmente coincidente con l’immissione nelle mansioni lavorative), ma che non ha un momento finale prestabilito.
Il mutamento del rischio, per esempio correlato oggettivamente all’utilizzo di nuovi macchinari o soggettivamente al mutamento delle mansioni del lavoratore, potrebbe in qualsiasi momento generare la necessità di una nuova formazione o di una formazione integrativa[2].
La formazione, dunque, non può fermarsi alla semplice conoscenza del rischio, ma deve estendersi all’acquisizione delle competenze necessarie allo svolgimento in sicurezza di quella specifica mansione, di quella procedura, all’utilizzo di quel macchinario o di quell’attrezzatura.
Ecco perché sono ormai previste delle specifiche indicazioni normative, sia sulle modalità di erogazione della formazione; sia sui contenuti e sui programmi; sia in relazione ai requisiti che i docenti devono avere; sia sulle verifiche di apprendimento da effettuare al termine dei vari corsi.
Peraltro, prima che alcuni Accordi Stato-Regione, intervenuti successivamente al D.Lgs. 81, disciplinassero i contenuti minimi della formazione ed intervenissero sulle modalità con cui effettuarla, il principale riferimento normativo risiedeva negli aggettivi “adeguata e sufficiente”[3] o “adeguata e specifica”.
In altri termini, il legislatore si limitava ad affermare che il lavoratore doveva ricevere una formazione adeguata e sufficiente, ma non specificava all’interno di quale perimetro la formazione erogata dal datore di lavoro potesse considerarsi sussumibile nei parametri di adeguatezza e sufficienza.
Comprenderete che i concetti stessi di adeguatezza e sufficienza siano facilmente suscettibili di interpretazione, proprio perché si tratta della formulazione “in bianco” di un obbligo normativo che deve poi, di fatto, essere riempito di contenuto dal Giudice investito della valutazione di quella circostanza e di quel comportamento.
Ne derivava, in molti processi, incardinatisi per giudicare una responsabilità penale del datore di lavoro direttamente connessa ad una presunta omissione formativa, che la fase dibattimentale diventasse uno scontro sui concetti di sufficienza ed adeguatezza: laddove l’avvocato difensore riteneva sempre sufficiente ed adeguato ciò che il Pubblico Ministero, avendo a disposizione gli stessi elementi di prova, riteneva invece insufficiente e/o inadeguato.
L’intervento di una disciplina normativa che ha definito i parametri dell’attività formativa, ha dunque reso meno complesso, almeno in questa prospettiva, il rispetto dell’obbligo da parte del datore di lavoro.
L’ADDESTRAMENTO, invece, afferisce un step conoscitivo mirato al saper fare, ovverosia all’apprendimento consapevole dei rischi connessi all’utilizzo in concreto di un macchinario, di un’attrezzatura, di una sostanza o di una procedura operativa.
Per fare un esempio, su un carrello elevatore è sempre apposto un adesivo che raffigura i rischi connessi ad un utilizzo non corretto o le manovre da evitare durante l’uso della macchina: questa è informazione.
In azienda, però, prima che ci immettano nelle mansioni di addetto alla guida di carrello elevatore, qualcuno dovrà formarci non solo su quali leve azionare, ma sui rischi legati al suo utilizzo, sui percorsi da seguire, sulle protezioni da utilizzare e sulla procedure da seguire o da evitare mentre lo si guida (per esempio il maggior numero di incidenti gravi in queste fattispecie avviene a seguito del ribaltamento del carrello portato troppo velocemente in curva, magari con la benna ancora alzata e/o su suolo in pendenza). Quando sarà stata valutata l’acquisizione delle nostre competenze si potrà allora parlare di formazione.
Infine, una volta messi a conoscenza dei rischi e formati su come affrontarli, qualcuno di competente dovrà farci eseguire delle prove e delle manovre per verificare non solo le nostre competenze, ma la nostra capacità di mettere in pratica ciò che ci è stato trasmesso: questo sarà addestramento.
INFORMAZIONE, FORMAZIONE E ADDESTRAMENTO RIENTRANO NELLE ATTIVITA’ DI PREVENZIONE E SOMO DETERMINANTI PER IL CORRETTO FUNZIONAMENTO DEL SISTEMA DI SICUREZZA AZIENDALE.
AREA LEGALE: avv. Federico Lentini
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